Come la parola rimane intrappolata nella pronuncia e nella timbrica, così i contenuti visivi trasportano con se l'accento di chi li riproduce. Spesso in musica, il performer esegue delle partiture scritte da altri, ma la propria capacità e interpretazione, applica una nuova estetica. Una partitura può essere eseguita anche su strumenti diversi, ma il risultato rimane lo stesso? Nella differenza tra uno strumento e un altro, emerge l'identità stessa dello strumento.
Arnulf Rainer è il nome di un film fatto da Peter Kubelka, che si propone di realizzare un estetica, partendo dall'essenza dell'immagine filmica: la luce e la variazione. L'alternanza binaria tra il bianco e il nero è costruita sulla base di uno storyboard che è di fatto una partitura, o se vogliamo, una sequenza digitale. L'esecuzione di Arnulf Rainer, all'epoca, era affidata al cineproiettore, che in questa “immagine minima”, mostrava prepotentemente la sua estetica low tech.
“Arnulf Rainer for digital performer” si riappropria della partitura di Kubelka per farla eseguire ad un performer digitale. La sua azione manifesta la sua interpretazione, nonché la sua propria identità ed estetica.
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